NEWSCITTA’ DEL VATICANO La ricezione «Fiducia supplicans»: il Comunicato stampa del Dicastero (Luigi Mariano Guzzo)
NEWSLETTER 1/2024
Riflessioni a margine della sentenza della Corte di Appello del Quinto Circuito degli Stati Uniti d’America, Stato del Texas v. Becerra n. 23-10246
Nel quadro delle differenti declinazioni giuridiche attraverso cui si manifesta il complesso rapporto tra il diritto all’aborto, il diritto alla salute della donna e del nascituro e il diritto alla libertà di coscienza degli operatori sanitari appare collocarsi la recente sentenza della Corte di Appello del Quinto Circuito degli Stati Uniti d’America n. 23-10246 del 2 gennaio 2024, pronunciata nel caso Stato del Texas v. Becerra.
In particolare, ad essere discussa è l’applicazione delle Linee Guida federali definite dai Centers for Medicare and Medicaid Services e dal Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti d’America (“HHS”) in materia di prestazioni mediche di emergenza. Le Linee Guida sono state elaborate alla luce dell’Emergency Medical Treatment and Labor Act del 1986 (“EMTALA”): legge federale che regolamenta l’accesso alle cure mediche nei pronto soccorso e che appare avere rappresentato un punto focale negli sforzi del governo americano di preservare l’accesso a determinati servizi di aborto in tutti gli Stati che hanno adottato, o stanno valutando di adottare, leggi particolarmente restrittive sulle pratiche di interruzione della gravidanza.
Nondimeno, le Linee Guida federali appaiono obbligare il personale sanitario del pronto soccorso a praticare l’aborto ogni qualvolta si prospetti quale trattamento necessario per “stabilizzare” le condizioni cliniche di emergenza della paziente, anche in quegli Stati in cui tale intervento è espressamente vietato. Stabiliscono, infatti, che l’Emergency Medical Treatment and Labor Act (“EMTALA”) deve prevalere sui divieti statuali di aborto e, in tal senso, specificano che «quando una legge statale proibisce l’aborto e non include un’eccezione per la vita della persona incinta – o definisce l’eccezione in modo più restrittivo rispetto alla definizione di condizione medica di emergenza dello statuto “EMTALA” – tale legge statale viene prevalsa».
La Corte di Appello del Quinto Circuito degli Stati Uniti d’America è stata così chiamata a statuire in ordine al rapporto tra il diritto federale e il diritto statuale nella regolamentazione dell’accesso ai trattamenti sanitari di emergenza cd. “stabilizzanti” che dovrebbero concretarsi più specificamente in interventi di interruzione della gravidanza. In tale iter decisionale, i giudici appaiono tratteggiare una posizione di favor rispetto all’esigenza di tutelare la libertà di coscienza del medico.
È evidente, infatti, che a porre le principali questioni interpretative sia proprio la definizione di “trattamento stabilizzante” giacché per tale ben potrebbe intendersi anche un mero “aborto facoltativo”. In una simile circostanza, l’applicazione delle Linee Guide federali obbligherebbe i medici ad eseguire procedure che non soltanto contrasterebbero con quanto stabilito dalle leggi del proprio Stato (anche se è bene sottolineare che con riguardo a tale ipotesi le Linee Guida stabiliscono che «qualsiasi azione statale contro un medico che pratica un aborto al fine di stabilizzare una condizione medica di emergenza della paziente che si presenta in ospedale sarebbe annullata dalla legge federale “EMTALA”»), ma potrebbero altresì confliggere con le convinzioni mediche, morali e/o religiose dell’operatore sanitario. D’altra parte, la violazione delle Linee Guida del Dipartimento della salute e dei servizi umani(“HHS”) implicherebbe l’irrogazione di gravi sanzioni disciplinari nei riguardi del medico inadempiente.
Diversamente da una simile impostazione che appare comunque possibile alla luce di quanto disposto nel documento federale statunitense, l’Emergency Medical Treatment and Labor Act (“EMTALA”) - come i giudici della Corte hanno peraltro sottolineato - non contempla un diritto incondizionato della donna alla cura dell’aborto, né indica l’interruzione della gravidanza quale “trattamento stabilizzante”. Più in generale, lo statuto non impone alcun tipo di trattamento clinico. Piuttosto stabilisce che spetta al medico bilanciare le esigenze mediche della madre e del nascituro, senza tuttavia specificare gli obblighi cui lo stesso è tenuto nei casi in cui se ne palesi un evidente conflitto.
Si tratta, peraltro, di un vuoto normativo che - a parere della Corte d’Appello del Quinto Circuito degli Stati Uniti d’America - viene colmato invece dalle disposizioni di legge vigenti nello Stato del Texas. Il riferimento è al Texas Human Life Protection Act (“HLPA”) che, difatti, sancisce il divieto di aborto salvi i casi in cui vi è un pericolo imminente per la vita della donna o comunque occorre prevenire lesioni personali di particolare gravità.
In tale prospettiva, i giudici della Corte hanno così vietato l’applicazione delle Linee Guida federali nello Stato del Texas sul presupposto che quanto da esse statuito risulta oltrepassare il disposto dell’Emergency Medical Treatment and Labor Act. Hanno, quindi, deciso che i medici del pronto soccorso non sono tenuti ad eseguire aborti d’emergenza ai sensi di tale legge federale.
Così statuendo, la Corte di Appello ha continuato a rimettere al legislatore statuale la questione della regolamentazione degli interventi di interruzione della gravidanza nei reparti ospedalieri di emergenza. La Corte ha, infatti, precisato che le cure stabilizzanti da assicurare ai sensi della legge “EMTALA” debbono essere in linea con quanto espressamente stabilito dalle leggi statali. Ciò sul presupposto che la regolamentazione della professione medica rientra nei poteri del legislatore statuale e l’Emergency Medical Treatment and Labor del 1986 «manca in tale contesto del linguaggio chiaro necessario per superare la deferenza nei confronti dello Stato».
Alle medesime conclusioni è, inoltre, giunta l’Alta Corte dell’Idaho nella recente ordinanza del 6 gennaio 2024 che ha riguardato il divieto di aborto previsto dal Defense of Life Act dello Stato dell’Idaho, anche nei casi di emergenza medica. La Corte ha temporaneamente sospeso la decisione di un tribunale di grado inferiore che aveva interrotto l’applicazione del suddetto divieto siccome ritenuta in contrasto con il disposto dell’Emergency Medical Treatment and Labor Act.
È evidente che tali decisioni appaiono avere implicazioni notevoli nella ricerca di un bilanciamento tra il diritto all’aborto, il diritto alla salute della donna e del nascituro e il diritto alla libertà di coscienza del sanitario nei casi di emergenza medica. Come è emerso, i giudici hanno innanzitutto stabilito che nella regolamentazione della materia la legge federale deve cedere il passo alla legge statuale. Orientamento che potrebbe senz’altro aprire la strada all’approvazione di leggi più severe da parte di quegli Stati che attualmente prevedono divieti di aborto meno restrittivi. In secondo luogo, nonostante il tentativo del governo americano di ampliare le circostanze in cui i medici possono attuare “aborti necessari” dal punto di vista clinico in una prospettiva di più ampia tutela del diritto di accesso della donna a tale pratica, le statuizioni delle Corti appaiono invece propendere per un’interpretazione restrittiva delle ‘condizioni di emergenza medica’ che consentirebbero agli operatori sanitari di eseguire la procedura senza incorrere in sanzioni disciplinari. Decisione che indubbiamente solleva evidenti perplessità dal punto di vista della tutela del diritto alla salute della donna in particolari circostanze cliniche, mostrandosi sempre più forte l’esigenza di garantire un’effettiva eguaglianza delle libertà.
Caterina Gagliardi