L’Accordo di Vilnius col Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
Quella che potrebbe apparire una vicenda circoscritta ai complessi equilibri delle gerarchie delle Chiese ortodosse dell’Europa orientale è, in realtà, un rilevante caso di politica ecclesiastica. Lo scorso 17 febbraio Bartolomeo I, Arcivescovo ortodosso greco, dal 1991 Patriarca ecumenico di Costantinopoli, ha restituito al servizio pastorale cinque sacerdoti dell’eparchia ortodossa del Patriarcato di Mosca in Lituania. I cinque preti ortodossi, i padri Vladimir Seljavko, Vitaljus Motskus, Vitalis Dauparas, Gintaras Sungajla e Georgij Ananiev, di etnia mista russo-lituana, erano incorsi in censure ecclesiastiche da parte della propria diretta autorità canonica, il vescovo metropolita Innokentij, di Vilnius. Appellandosi a Bartolomeo ed ottenendo da quest’ultimo un provvedimento di reintegrazione canonica, essi sono di fatto entrati nella giurisdizione costantinopolitana, uscendo dall’obbedienza del proprio metropolita. Di tale vicenda, la guerra di aggressione russa-ucraina rappresenta il motivo scatenante, cui si affiancano altri effetti collaterali, quali l’emigrazione di massa di circa 40.000 rifugiati ortodossi ucraini, poco propensi a ritrovarsi nelle chiese con i lituani di ceppo russo.
Sono questi gli antefatti più immediati che hanno condotto alla firma, il 22 marzo, a Vilnius, di un accordo fra la repubblica di Lituania e il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, soggetto istituzionale che esercita storicamente un ruolo di riferimento teologico e politico per l’universo dell’Ortodossia.
La frattura, in verità, registra altri precedenti che indicano il sedimentarsi di una crisi di relazioni molto più lontana nel tempo (evidenziata dalla defezione del Patriarcato di Mosca al Concilio Panortodosso di Creta, del 2016), a far capo dalla scissione legata al riconoscimento, concesso da Bartolomeo I, dell’autocefalia alla Chiesa ucraina (guidata dal metropolita Epifanio). Già in ordine a tale ultimo evento, le reazioni moscovite si erano espresse per bocca del metropolita Hilarion di Volokolamsk, capo delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, che aveva dichiarato l’avvenuta spaccatura (scisma) del mondo ortodosso tra Costantinopoli e Mosca. Diretto effetto di tali avvenimenti è stato la decisione del Patriarcato di Mosca di rompere la comunione eucaristica col Patriarcato ecumenico. Hilarion ha rincarato la dose affermando, tra l’altro, che: «In accordo con le leggi canoniche che regolano la Chiesa, i Vescovi che riconoscano i gruppi scismatici, diventano essi stessi scismatici».
L’accordo di Vilnius riguarda l’ortodossia locale che è di circa 150.000 fedeli (su tre milioni e mezzo di abitanti, di cui il 79% cattolico), da secoli legati al patriarcato di Mosca, sebbene precedentemente soggetti (dal XIII al XVII secolo) al patriarcato di Costantinopoli.
Il testo dell’accordo contiene cinque articoli e si apre con una dichiarazione di intenti che, se rapportata alle circostanze ora esposte, appare assai utopica: «Lo scopo del presente accordo è quello di rafforzare e sviluppare le relazioni e la cooperazione tre le parti nei settori di reciproco interesse, comprese le questioni riguardanti l’istituzione, l’istituzionalizzazione e il funzionamento della Chiesa locale in Lituania sotto la giurisdizione del patriarcato ecumenico e di facilitare l’attuazione della libertà di coscienza e di religione per i credenti di confessione ortodossa che cercano di praticare la loro religione nella Chiesa ortodossa sotto la giurisdizione del patriarcato ecumenico».
Più in dettaglio, l’Accordo prevede misure per istituzionalizzare le strutture del Patriarcato ecumenico nel Paese garantendo la possibilità di affittare locali dallo Stato, di condurre attività missionaria, educativa e caritativa. Il clero del Patriarcato ecumenico in Lituania godrà il medesimo statuto giuridico riconosciuto al clero di altre confessioni tradizionali in Lituania. A tal proposito va ricordato che la Lituania vanta una importante tradizione pattizia sin dal lontano 1927 con la Santa Sede, consolidata in seguito con la stipula di cinque accordi, tra il 2000 e il 2020[1], tra i quali, un Accordo concordatario di spettro generale che riproduce parte delle disposizioni sottoscritte a Vilnius.
Riguardo ai motivi che sono alla base di tale accordo sulla libertà confessionale, Bartolomeo si è espresso con chiarezza, individuandone nello scisma intra-ortodosso e nella guerra russo-ucraina le premesse. Riguardo allo scisma egli ha avvertito che: «La crisi ucraina si collega con la sfida più fondamentale del mondo cristiano ortodosso».
Da quando la Russia ha ottenuto il patriarcato (1589), sulla spinta degli zar, si è incrementata l’ideologia della «terza Roma», facendo della Chiesa uno strumento per gli obiettivi strategici del potere politico di cui Putin ed il Patriarca Kiril sono gli attuali ultimi interpreti. Per l’ideologia del panslavismo, l’autocefalia di una Chiesa non è legata al territorio, ma all’etnia (etnofiletismo). «L’attuale sua incarnazione è l’ideologia fondamentalista del “mondo russo” (Russkiy Mir). Da essa nasce la giustificazione della guerra. Cosicché: «la Chiesa ortodossa russa condivide la responsabilità della guerra insieme alla dirigenza statale di Mosca».
Prosegue Bartolomeo: «Il 5 gennaio 2019 è stato firmato il tomo che concede l’autocefalia alla Chiesa ortodossa dell’Ucraina. Il distacco della rilevante popolazione ortodossa ucraina dalla tutela di Mosca ha privato la Chiesa russa di gran parte della sostanza della sua pretesa anti-ecclesiologica, nel suo tentativo di primazia nell’Ortodossia». Inoltre, la nuova giurisdizione ecclesiastica ortodossa in terra lituana, in forma di nuovo esarcato «ristabilirebbe la giustizia storica», risalendo alla metropolia di Lituania esistente tra il XII e il XIV secolo, sotto la protezione del principato di Vilno, dove esisteva una giurisdizione ortodossa russa dipendente da Costantinopoli.
Quanto alle autorità civili, la premier lituana Ingrida Šimonite ha dichiarato trattarsi di «una decisione della Chiesa-madre costantinopolitana, in cui noi non intendiamo interferire».
Šimonite e il presidente della Repubblica lituana Gitanas Nauséda mantengono, molto opportunamente, forse con una considerazione rispettosa del dato storico che sembra assente nel mondo occidentale, una posizione di non coinvolgimento diretto nella questione ecclesiastica distanziandosi dalla politica strumentale con cui l’ex presidente ucraino Petro Porošenko, ha ottenuto l’autocefalia ortodossa ucraina (2018) in rottura con la Chiesa di Mosca.
Fabio Vecchi
[1] Concordato tra la Santa Sede ed il Governo di Lituania (27 settembre 1927). Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Lituania sulla cooperazione nell’educazione e cultura (5 maggio 2000), in AAS, 92 (2000), pp. 783-795; Accordo tra la Santa con la stipula di Sede e la Repubblica di Lituania sui profili giuridici delle relazioni tra la Chiesa Cattolica e lo Stato (5 maggio 2000), in AAS, 92 (2000), pp. 795-809; Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Lituania in materia di cura pastorale dei Cattolici impegnati nelle Forze Armate (5 maggio 2000), in AAS, 92 (2000), pp. 809-816.
La materia dell’educazione superiore è stata oggetto di ulteriori aggiornamenti con la stipula di un Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Lituania sul riconoscimento delle qualifiche relative all’educazione superiore (8 giugno 2012), in AAS 104 (2012), pp. 1062-1075. Tale accordo ha avuto una correzione portata a compimento tra l’ottobre ed il dicembre 2020: Correzione circa Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Lituania sul riconoscimento delle qualifiche relative all’educazione superiore, in AAS 113 (2021), pp. 85-91.