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1- L’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie il 13 maggio 2023 si è dotata di un Regolamento per l’”accoglienza dei fedeli separati” (SDAFS), promulgato con decreto arcivescovile, volendo disciplinare un servizio ecclesiale a beneficio dei coniugi che sperimentano la crisi del proprio matrimonio. Preliminarmente, risulta importante osservare che il regolamento risponde a una precisa volontà della Chiesa, che, come ha spesso sottolineato papa Francesco, esprime la sua natura di madre verso i figli in difficoltà. Molto opportunamente, questa dinamica missione ecclesiale è richiamata sia nel decreto arcivescovile (quando l’Arcivescovo sostiene che il servizio diocesano si pone “quale viva testimonianza della prossimità della Chiesa”) sia all’inizio dello stesso regolamento dove è richiamato il passo n. 244 dell’Amoris Laetizia, nel quale è rimarcata la necessità di “mettere a disposizione delle persone separate o delle coppie in crisi, un servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, legato alla pastorale familiare”. Un altro aspetto non secondario emerge dalla considerazione della data in cui è stato prodotto il Regolamento: esso, infatti, è stato promulgato dopo l’avvio del servizio diocesano SDAFS (acronimo di Servizio Diocesano Accoglienza Fedeli Separati) e la sua positiva sperimentazione, attraverso cui, come sottolinea l’Arcivescovo nel Decreto, è stato “offerto un valido aiuto nella applicazione della riforma del processo canonico delle cause di nullità matrimoniali”.
La regolamentazione del servizio successiva alla sua fase di avvio mette in evidenza un’altra imprescindibile caratteristica, e cioè il nesso inscindibile tra le attività “giudiziarie” e l’azione pastorale. La riforma del processo matrimoniale voluta da papa Francesco l’8 dicembre 2015, con il motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus (MIDI), ha reso più snello tecnicamente il processo matrimoniale (che di per sé può diventare un modello di efficienza giuridica anche da un punto di vista generale nel mondo del diritto) ma ha, soprattutto, ha evidenziato la natura pastorale del diritto, strumento della missione della Chiesa, che è missione di salvezza delle persone e di realizzazione della misericordia divina. In questa prospettiva, il ministero giudiziale non si può tradurre in una algida applicazione della legge, distante dalla vita delle persone, ma, al contrario, deve farsi interprete di una pastorale (per così dire) giudiziaria e di una azione processuale che si facciano più vicine alle persone, specie a quelle in difficoltà e come tali soggetti deboli. Proprio per tale ragione, la riforma di MIDI ha creato un nuovo istituto canonico, l’<<Indagine pregiudiziale o pastorale>>, che è rivolta ai <<fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti della nullità del medesimo>> e ha come obiettivo quello di <<conoscere la condizione>> degli stessi e il loro convincimento nella prospettiva ecclesiale.
Inoltre, l’indagine assolve a uno scopo funzionale, cioè quello di <<raccogliere elementi utili per l’eventuale celebrazione del processo giudiziale>> (art. 2 della terza parte). L’indagine, quindi, si presenta come la manifestazione di una peculiare attenzione alle necessità dei fedeli, che per la loro congiunturale situazione di vita coniugale si trovano nella necessità di richiedere maggior sostegno e per questo è prescritto che essa si debba fare nelle <<strutture parrocchiali o diocesane>>, proprio a sottolineare il carattere della accoglienza. La natura e la missione ecclesiale del giudizio, che è posto a tutela della verità, cioè di ogni segmento di verità che attraversa la vita dei fedeli e delle persone e che partecipa della “Verità”, della “Via”, della “Vita”, che è Cristo stesso, cioè la Chiesa. In questa prospettiva ecclesiale si comprendono le <<garanzie dell’ordine giudiziario>> a tutela della natura sacramentale del matrimonio e a garanzia degli stessi coniugi. Per dare applicazione al contenuto delle disposizioni giuridiche nella prospettiva pastorale, l’Archidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie dal 2016 ha attivato il Servizio diocesano per l’accoglienza dei fedeli separati, una vera e propria diaconia (di informazione, di consiglio, di sostegno, di mediazione) a disposizione delle persone che vivono la crisi esistenziale del proprio matrimonio. In linea con questa esperienza, l’Arcivescovo, quindi, per dare continuità a <<questo importante servizio ecclesiale per il bene dei fedeli>> con la promulgazione del regolamento ha inteso alimentare <<sempre più un atteggiamento di accompagnamento, di discernimento e di prossimità nei confronti di ogni persona e ogni famiglia, in modo particolare verso le situazioni difficili o irregolari>>, come si legge nella premessa al Regolamento.
2- Si può sostenere, pertanto, che il Regolamento, si presenta sostanzialmente come una sorta di scrittura, di modus procedendi per realizzare una “pastorale della prossimità”, come indica lo stesso Arcivescovo nella premessa. In questo senso è interessante il contenuto dell’art. 2, che rinomina l’indagine pregiudiziale o pastorale ( di cui al MIDI) come “Servizio diocesano per l’accoglienza dei fedeli separati”, accentuando in tal modo proprio la funzione pastorale di questo nuovo ufficio nell’intento di rendere nel modo migliore la vicinanza con i fedeli in crisi. Questa denominazione dell’indagine pregiudiziale mostra di avere un vero e proprio carattere innovativo e, in effetti, ha la forza di trasformare una attività (l’indagine) in una diaconia (il servizio), alla quale lo stesso regolamento riconosce una dimensione ecclesiale propria. Infatti, il successivo paragrafo 3 dell’art. 2 riconosce che il Servizio è un “ponte” tra l’azione pastorale di accompagnamento e “l’operato dei tribunali ecclesiastici” e allo stesso tempo afferma che esso è <<un luogo di ascolto specializzato al fine di compiere un orientamento di carattere pastorale, morale e canonico>>. L’arcivescovo, esercitando il potere legislativo che gli è proprio, ha inteso dare alla attività di indagine una funzione pastorale più coerente con il contenuto sostanziale del Midi e, verosimilmente, coerente con la missione stessa della Chiesa; egli, senza modificare il testo legislativo del motu proprio, lo ha interpretato volendo rendere più esplicita la dimensione pastorale più volte sottolineata dallo stesso Pontefice. Per garantire questa coerenza, il regolamento lascia all’Arcivescovo il potere di <<interpretazione>> del Regolamento anche nel senso di << dare il significato autentico delle norme contenute in esso>> (art. 12 Reg.). Pertanto, il Regolamento, che è ancora uno dei pochi esempi di applicazione (coerente e allo stesso tempo innovativa) di una norma pontificia, attraverso il metodo interpretativo ha dato vita a una normativa diocesana coerente con lo spirito del diritto canonico e secondo la prospettiva di una più idonea attenzione alla persona umana, che, secondo Antonio Rosmini, “è il diritto sussistente”. L’idea di un diritto coincidente con la persona umana impone il ripensamento del munus episcopale come “cura pastorale” alla base del Servizio diocesano, così esplicitamente descritto nel paragrafo 4 dell’art. 2 del Regolamento.
3- Muovendosi nella prospettiva interpretativo-innovativa, assolutamente centrale è l’art. 3 del Regolamento, che intende definire le finalità del servizio e individuare i destinatari; questo articolo deve essere valutato insieme con le disposizioni contenute nell’art. 7, che individua i compiti del Servizio diocesano. Infatti, esaminando congiuntamente le due disposizioni normative si percepisce nella sua dimensione più ampia il carattere espansivo del Regolamento. Contrariamente a una lettura restrittiva della Midi, le finalità sono molteplici e consistono in un “orientamento di carattere pastorale” (art. 3 par. 1), aiutare i fedeli in crisi a “leggere” la loro esperienza nella logica del sacramento e in linea con l’insegnamento della chiesa in materia matrimoniale (art. 3 par. 2), accompagnare i fedeli nella introduzione della domanda per lo scioglimento del vincolo in casi particolari come quello della inconsumazione (art. 3 par. 3), “assistere le coppie in difficoltà nel ripercorrere la loro vicenda coniugale alla luce dell’insegnamento cristiano” anche tentando la riconciliazione e, in caso contrario, per “raccoglie gli elementi utili(acquisizione di documenti, disponibilità di testimoni, acquisizione di atti eventualmente emersi durante l’ascolto) per l’eventuale introduzione del processo giudiziale” (art. 3 par. 4). Come si può osservare, se si considera in modo restrittivo il precetto del Midi solo quest’ultima finalità sembrerebbe coerente con la finalità dell’indagine pregiudiziale che nel motu proprio è strumentale al conseguimento degli effetti giuridici. Tuttavia, se così si facesse, si avrebbe solo una rigida e fredda applicazione di una norma processuale, depotenziando il carattere pastorale dell’indagine pregiudiziale stessa. Vale la pena di rimarcare che l’articolo 2 della terza parte del motu proprio prescrive che l’indagine debba avere una finalità “pregiudiziale o pastorale”, in altri termini ponendo da un punto di vista concreto maggior attenzione al valore della lettera “o”, si deve intendere (anche tenendo conto dei successivi articoli e specialmente degli articoli 4 e 5 del Midi) senza dubbio che il valore è di carattere esplicativo, sostanzialmente equivalente a “ovvero”, pur non riferendosi a termini non equivalenti (giudizio e pastorale). Tenendo conto anche dei successivi articoli e specialmente degli articoli 4 e 5, non c’è dubbio che il valore della particella “o” è di carattere esplicativo, sostanzialmente equivalente a un “ovvero”, pur non riferendosi a termini che rimandano a funzioni non equivalenti (come sono il giudizio e l’attività pastorale). Infatti, il senso complessivo e specifico dei precetti contenuti nella terza parte del motu proprio Midi è proprio quello di congiungere la cura pastorale con l’azione giudiziaria, entrambe prospettate come azioni della Chiesa, ontologicamente distinte ma ecclesialmente collegate. Pertanto, le più articolate finalità individuate nell’art. 3 del Regolamento diocesano del servizio (Sdafs) nel prospettare attività pastorali e azioni giuridiche le considera in una dimensione unitaria, come azioni della Chiesa, in modo del tutto coerente con lo spirito e la lettera del motu proprio Midi. In quest’ottica devono essere considerati i “compiti del servizio”, indicati nell’art. 7, che non sono individuati con carattere esaustivo, come lascia intendere chiaramente l’inciso del par. 1 <<Il Servizio diocesano, coordinato dal Responsabile, ha tra i suoi compiti quello di:>>.
Inoltre, si deve osservare che proprio la lettura dei compiti del Servizio consente di affermare che il Servizio diocesano non è destinato a svolgere solo le azioni connesse con “l’indagine pregiudiziale o pastorale”, cioè coordinate con le finalità del processo matrimoniale canonico innanzi il tribunale ecclesiastico. I compiti sono di ampia portata pastorale, sebbene finalizzati sempre al matrimonio e alla condizione di disagio dei fedeli coniugati, come suggerisce anche una sorta di norma di apertura contenuta nel punto 5, par. 1 dell’art. 7, che attribuisce al Servizio la generale incombenza di << eseguire le ulteriori direttive del Magistero e dell’Arcivescovo volte a favorire una pastorale dell’ascolto, dell’accoglienza, del discernimento e dell’integrazione>>.
4- Un’ultima osservazione riguarda il richiamo alla funzione episcopale e al rapporto con la comunità diocesana. Si tratta di due temi di centrale importanza, che consentono di attribuire al Regolamento una funzione di ricapitolazione e di riconduzione di ogni attività al modo di essere Chiesa sotto la guida del vescovo. L’intero articolo 5 è riservato alla disciplina dei <<Compiti del Vescovo verso il servizio diocesano>>. Oltre alle necessarie incombenze legate al miglior funzionamento del Servizio e al coordinamento delle azioni, merita di essere rimarcata l’esigenza di praticare una compagnia, una vicinanza con le persone in situazioni di fragilità attraverso la realizzazione da parte del vescovo di <<una pastorale di prossimità misericordiosa e ad una pastorale giudiziale accurata>> (par. 2, punto 2). Il Regolamento si muove nell’esperienza di un modo di essere Chiesa, cioè di una comunità che non resta genericamente attenta alle persona, ma che assume in quanto Chiesa il << compito di accompagnare i suoi fratelli più fragili nel loro vincolo matrimoniale ragion per cui stimola una pastorale del vincolo>> (art. 9, “Rapporti del servizio con la comunità diocesana”), concependo il matrimonio come una vocazione a vivere nel sacramento il Vangelo dell’amore, cioè una vocazione dei coniugi a rendere testimonianza tra le persone dell’amore che Gesù ha per la Chiesa e che Dio ha per tutti gli uomini.
5- Pur notando l’esistenza di alcune imperfezioni e la possibilità di migliorare le singole previsioni in relazione alla ortoprassi che si andrà realizzando nella Chiesa di Trani-Barletta-Bisceglie (cosa che in parte è già in atto), il Regolamento costituisce una preziosa esperienza ecclesiale che vuole sostenere il matrimonio, attraverso la vita di una comunità ecclesiale sotto la guida del vescovo, nella sua dinamica vocazionale, curandone i momenti di fragilità, che derivano in genere dalla debolezza con cui i fedeli si avvicinano alla chiamata verso un sacramento, che non riguarda solo le vicende di due persone, quanto la vita della Chiesa e dell’umanità alla quale dare la speranza di una testimonianza di Amore contenuta in vasi di creta. Il Regolamento è, nel suo genere, l’esempio di una sollecitudine che unisce competenza e visione ecclesiale e, per questo, potrebbe essere presa a modello dalle Chiese diocesane italiane, che fino ad ora non si sono mostrate particolarmente attente all’appello contenuto nella esortazione Amoris Laetizia. Infatti, proprio con specifico riguardo al cammino difficile dei fedeli nel matrimonio, colpisce il fatto che in Italia solo 47 diocesi su 226 hanno istituito una struttura stabile per l’indagine pregiudiziale o pastorale. Inoltre, forse bisognerebbe anche analizzare la relazione esistente tra la diminuzione del numero dei matrimoni canonici e le difficoltà esistenziali di una convivenza coniugale non sempre facile in mancanza (più o meno accentuata) di una pastorale di prossimità e di una rivisitazione del modo di essere Chiesa nel dialogo armonico di tutte le sue componenti.
GAETANO DAMMACCO