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Comincia Ramadhan, il nono mese del calendario islamico, e tutti i musulmani osservano il sawm, un regime stretto di digiuno che prevede l’astensione dall’alba al tramonto da cibi e bevande. Tale forma di dieta costituisce un mezzo per purificarsi non solo fisicamente, ma anche e soprattutto spiritualmente, e stimola i credenti a compiere buoni propositi, a comportarsi in modo consono e ad immettersi nella dimensione migliore per avvicinarsi ad Allah. Anche i bambini, soprattutto a partire dal settimo anno di età, vengono progressivamente avviati a tale pratica religiosa, che costituisce uno dei cinque pilastri della fede nell’Islam.
Difatti, le scuole giuridiche islamiche - pur con qualche lieve disallineamento - sono sostanzialmente convergenti nell’individuare una prima fase di vita dei minori, che va dalla nascita ai sette anni, in cui essi non hanno responsabilità giuridica né obblighi religiosi, mentre dopo i sette anni, raggiunta l’età del cosiddetto “discernimento”, i minori acquistano alcune capacità sul piano giuridico ed assumono l’obbligo di compiere gli atti di culto.
E’ quindi importante sottolineare come l’adempimento delle pratiche cultuali rappresenti per i minori musulmani l’espressione di una dimensione identitaria che si manifesta, sul piano confessionale, quale articolazione della libertà religiosa, dovunque essi si trovino, e quindi anche in contesti laicizzati, nei momenti educativi e durante il mese di Ramadhan.
Nell’Italia plurale e multiconfessionale accade così a Calenzano, in occasione dell’inizio del mese di digiuno per i musulmani e della conseguente dieta diurna per alcuni studenti, che i genitori musulmani di due bambini di 10 anni abbiano chiesto ed ottenuto dal dirigente scolastico l’esonero dei figli dalla assunzione dei pasti. Ebbene, pur avendo rispettato la scelta familiare, il dirigente della scuola non ha forse valutato l’inopportunità di lasciare dei bambini in mensa a digiunare accanto ai loro compagni che mangiano.
Di contro, un dirigente scolastico di una scuola milanese ha emesso una nota indirizzata ai genitori che hanno avanzato una simile richiesta per i figli comunicando la dispensa dal pasto durante tutto il mese, indicando l’alternativa possibilità di far permanere i bambini in refettorio insieme ai compagni a consumare il pasto, ovvero autorizzare l’uscita alle 12.30 ed il rientro alle 14.30. La nota dirigenziale viene giustificata dalla mancanza di personale che possa vigilare sugli alunni che intendono digiunare in altri locali che non siano quelli della mensa.
Le polemiche sulle iniziative delle dirigenze scolastiche non si sono fatte attendere, anche perché la situazione si ripresenta ciclicamente ogni anno e costituisce un fenomeno in aumento ed invero alcuni istituti, soprattutto quelli dove la presenza di famiglie musulmane è elevata, si sono organizzati per tempo prevedendo attività alternative per gli alunni che celebrano il digiuno rituale, così come spazi dedicati alla preghiera anche se da utilizzare durante la ricreazione e non in orario didattico.
Eppure, la decisione del dirigente scolastico di Milano appare meno criticabile di quella del suo collega toscano, poiché ha denotato in ogni caso sensibilità per gli alunni digiunanti, avendo consentito il loro allontanamento da scuola per il periodo del pasto e non gli si può imputare la mancanza di personale che possa vigilare sui bambini che non partecipano al pasto. Del resto, spetta alla scuola nell’esercizio della propria autonomia valutare le misure più idonee da adottare per garantire il giusto equilibrio tra il rispetto della libertà religiosa e la tutela della salute dei propri studenti.
In assenza di procedure uniformi provenienti dal Ministero, tali iniziative, seppure non standardizzate, risultano tuttavia lodevoli per conciliare i valori fondamentali del diritto alla salute e dell’educazione nella fase dell’obbligo con il rispetto della responsabilità genitoriale e delle scelte religiose della famiglia.
Quello che potrebbe essere migliorato è il livello di inclusività della scuola italiana che, sia pur nel rispetto del principio di laicità risulta talvolta poco accogliente, nonostante le specifiche linee guida del MIUR emanate già dal 2014, poiché si mostra lontana da quell’uguaglianza sostanziale tra cittadini, poco rispettata e non sempre perseguita, pure cristallizzata nell’art. 3 della Carta costituzionale.
Difatti, da un lato vi è il diritto/dovere dei genitori di impartire ai figli un’educazione ancorata a principi etici posti alla base dell’unità familiare seguendo anche l’imprinting delle regole religiose condivise, e dall’altro vi è la sinergia cui l’istituzione scolastica deve sentirsi chiamata cooperando con i genitori nella funzione educativa dei minori, onde riconoscere agli studenti il rispetto della libertà religiosa quale tutela della libertà educativa ed assicurare loro un’istruzione inclusiva ma anche rispettosa dell’orientamento confessionale della famiglia, pur nella laicità dell’istituzione scolastica.
La scuola deve essere un luogo di educazione, ma anche di confronto tra le differenti culture e di dialogo tra le diverse appartenenze religiose, onde garantire le libertà dei consociati e la neutralità delle istituzioni pubbliche nel quadro di una laicità inclusiva e non escludente.
Vasco Fronzoni
Fonte: Gamberorosso, 8 Marzo 2024; Il Giornale, 12 marzo 2024; La Nazione, 13 marzo 2014.
https://www.gamberorosso.it/notizie/scuola-ramadan/
https://www.ilgiornale.it/news/cronaca-locale/ramadan-bimbi-10-anni-costretti-dai-genitori-digiunare-2295695.html
https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/ramadan-cresce-il-numero-di-bambini-della-primaria-che-non-mangiano-a-mensa-i-presidi-prima-non-succedeva-fsicjcpt?live