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NEWSCITTA’ DEL VATICANO Esortazione Apostolica “Laudate Deum”
“Pantheon occupato”
Nella mattina di giovedì 14 settembre, la basilica romana di Santa Maria ad Martyres - ubicata com’è noto nella sede monumentale del Pantheon – è stata proscenio di una manifestazione di protesta. Il plesso, segnatamente, è stato occupato da esponenti del Comitato “Vele di Scampia”, che contestavano il taglio delle risorse del Pnrr destinate al progetto di riqualificazione urbana dell'area del quartiere napoletano (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/pantheon-occupato).
L’occupazione è terminata in seguito all’intervento delle forze dell’ordine, che hanno effettuato lo sgombero della basilica. I manifestanti, appresso, si sono spostati nel pronao di quest’ultima, rimanendovi per qualche ora (https://www.ilmessaggero.it/vaticano/protesta_pantheon_vicariato_polizia_sgombero_manifestanti_vele_scampia_governo-7631899.html?refresh_ce).
Il giorno seguente, sul sito della Diocesi di Roma, è stata pubblicata una nota riportante la dichiarazione dell’Arciprete Rettore della Basilica, ove si segnalava anzitutto come il predetto intervento delle forze di Polizia fosse stato autonomamente richiesto dalla “Responsabile dei Musei Statali della Citta di Roma”. Segnalazione, questa, corredata da due rilievi: uno esplicativo, volto a precisare che ad avere “in carico la gestione diretta del Pantheon…bene demaniale” è il Ministero della Cultura; l’altro, informativo, teso a puntualizzare che dopo lo sgombero il monumento era stato “temporaneamente chiuso al pubblico”.
Nel prosieguo della nota si profilava l’aspetto ecclesiasticisticamente più saliente, concentrantesi nella evidenziazione di alcune distonie prodottesi rispetto a quanto previsto dall’ordito normativo pattizio.
In ispecie, al riguardo, veniva richiamata la lettera dell’art. 5, II co., della L. 121 del 1985 (esecutiva dell’Accordo di Villa Madama), che prevede che “Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica”.
Il richiamo valeva, in primo luogo, a porre in grande dubbio – ad avviso del Rettore – che nell’occasione gli accadimenti fossero stati d’intensità critica tale da rendere operativa la clausola di salvaguardia posta in apertura della previsione, vale a dire l’occorrenza di un caso “di urgente necessità”.
La seconda (e più penetrante) puntualizzazione, poi, si incentrava sul mancato riscontro del (restante) disposto madamense, essendo lo sgombero stato “disposto senza avvisare o coinvolgere in alcun modo l’Autorità Ecclesiastica competente”; ed essendo “le forze di Polizia …entrate in basilica senza essere state chiamate dall’Arciprete Rettore e senza il necessario assenso del medesimo”.
Orbene, al riguardo – rinviando a un più completo vaglio tecnico-giuridico dei fatti occorsi, e segnatamente dei rilievi testé riferiti – possono qui fornirsi alcuni spunti sommari/minimi, atti a focalizzare alcune specifiche ragioni che appaiono sottendere l’urgenza avvertita dal Vicariato nell’esitare la nota in oggetto (al di là di quella più evidente, i.e. lumeggiare la dinamica degli eventi rispetto a una situazione invero peculiare e di non agevole decifrazione per i non addetti ai lavori, qual è già solo la coincidenza in un unico plesso di un’eccezionale vestigia dell’antichità romana sottoposta alla gestione del MiC, tramite una sua articolazione periferica – la suddetta Direzione Musei Statali della Città di Roma – e di un edificio sacro della cattolicità ove da secoli il culto è celebrato continuativamente, vieppiù recante in quanto basilica un vincolo particolare con la Chiesa di Roma e con il Romano pontefice).
In prima battuta, pare avvertirsi l’opportunità rilevata di rimarcare la sussistenza di un regime particolare di produzione bilaterale, con gli annessi impegni di livello internazional-concordatario a darne applicazione puntuale e in buona fede.
Come in altri casi, infatti, dall’altra sponda del Tevere giunge una sorta di singolare promemoria: riguardando lo stesso, in fin dei conti, l’applicazione di una disposizione contenuta in una legge dello Stato.
Nel caso in parola, poi, vertendosi di un edificio di culto, spicca il fatto che quella disposizione ribadisce una direttrice già rinvenibile nel Concordato del ’29, che a sua volta seconda un principio generale e tradizionale della legislazione italiana, riscontrabile a partire dal Codice civile del 1865.
Il principio è quello di ossequiare la funzione propria di tali beni immobili (servire direttamente al culto) correlandovi un regime giuridico particolare, con quella funzione coerente.
Quanto alla direttrice, rispecchiata dal vigente testo dell’art.5, II co. dell’Accordo di revisione (come già dall’art. 9 Conc.) essa delimita e condiziona nel senso suindicato l’ambito d’intervento delle forze di polizia onde dare concretazione al predetto principio, che sottende l’idea di uno Stato che reputa la destinazione al culto rispondente a un superiore interesse generale.
Come notato in dottrina (ieri come oggi), poi, quella stessa direttrice assevera anche una sorta di corollario logico (discendente da detto principio), che reclama l’intervento dell’autorità ecclesiastica, in quanto tale, indipendentemente cioè dall’essere o meno proprietaria dell’edificio (nella fattispecie considerata, per l’appunto, non lo è), per ciò che riguarda la disposizione di detti edifici, consentendo – tra l’altro – l’accesso della forza pubblica per l’esercizio delle sue funzioni. Da qui il senso di una disposizione che fa astrazione dal soggetto proprietario dell’edificio, e che in funzione dell’apertura al culto - interesse come detto qualificato come ‘superiore’, servente assieme la libertas Ecclesiae e di riflesso l’esigenza religiosa dei fedeli - attribuisce all’autorità ecclesiastica una conducente prerogativa, cui si correla una forte limitazione dei tradizionali poteri pubblici.
E che la limitazione sia intensa, e che dunque la disposizione rechi un tenore invero stringente, appare confermato anzitutto da due elementi.
Il primo è il conforto che in tal senso giunge da una Circolare ministeriale esitata nel 20 luglio del 1929 (con riferimento al disposto che qui rileva dell’art. 9 Conc., riprodotto sostanzialmente nell’odierno art.5, II co. dell’Accordo) ove si dà per assodato che la clausola dell’«urgente necessità», la sola che renda possibile l’intervento autonomo della forza pubblica, “deve essere intesa in senso veramente eccezionale, tenendo in considerazione le varie circostanze inerenti allo scopo” prefissatosi da quest’ultima.
Il secondo è l’indizio che si ricava dalla volontà del Legislatore pattizio (ribadita nel 1984) di non specificare le caratteristiche formali dell’avviso che le forze di polizia devono – in assenza di urgente necessità – dare dell’immissione nell’edificio di culto; limitandosi a prevedere che tale atto sia “previo”. Rafforzando ciò, inevitabilmente, la necessità che questo requisito temporale venga osservato nella generalità dei casi; e sottolineandone la qualità di stringente canone legislativo, posto a garanzia di rispetto della funzione svolta dagli edifici di culto, che inquadrata alla luce della Carta repubblicana appare strettamente connessa al rilievo costituzionale degli interessi religiosi che essi mirano a soddisfare (art. 19 Cost.).
Da ultimo, a tal proposito, può ipotizzarsi che a sospingere verso la redazione della nota stiano altresì più generali considerazioni, che affiancano il focus sulla ratio evidente della norma concordataria (contemperare le esigenze della giustizia con la salvaguardia della funzione elettiva dei luoghi sacri), concentrandosi sull’auspicabilità di un persistente registro operativo di collaborazione tra i due ordini, riducendo al minimo i margini di conflittualità.
L’ipotesi appare convincente, se solo si consideri che anche in questo caso l’invito sottaciuto in sostanza verrebbe a tradursi nella sollecitazione a tener presente la cogenza di una direttrice contenuta nella legge esecutiva dell’Accordo: quella cruciale dell’art. 1, che quella “reciproca collaborazione” nella distinzione delle rispettive competenze assume a cardine ermeneutico della dialettica Stato-Chiesa nel Paese, in vista del bene comune e della promozione della persona umana.
E visto che nel caso si ragiona di un luogo di culto immerso in una cornice di straordinaria importanza culturale, è importante tener presente che l’unica previsione dell’Accordo che rispecchi integralmente tale specifico impegno cooperativo è quella (art. 12, I co.) che chiama la Repubblica e la Santa Sede a impegnarsi insieme per il presidio di tutto il patrimonio storico ed artistico nazionale (con rispondenza all’ampia nozione accolta nell’art. 9 Cost.). Una previsione che delinea la strada maestra delle soluzioni concertate, a pro delle istanze diverse di livello apicale tenute presente dalle due orbite: come quella, per restare al luogo in parola, che ha condotto pochi mesi addietro – il 16 marzo 2023 - il MiC e il capitolo della Basilica a siglare un’innovata convenzione sul regolamento d’uso della stessa, tutta incentrata anzitutto sulla necessità di compendiare le esigenze avvertite da entrambe le Parti rispetto al dato saliente dell’unicità della struttura e dei valori ad essa connessi (https://www.diocesidiroma.it/la-nuova-convenzione-tra-il-pantheon-e-il-ministero-della-cultura/).
Fabiano Di Prima
PAROLE CHIAVE
Interreligiosità, unione, apertura, difesa