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Numero 2/2023Giurisprudenza e legislazione tributaria
Ordinamento penitenziario e diritto all’affettività: la sentenza n. 10/2024 della Corte costituzionale
La Corte costituzionale, con la sentenza 26 gennaio 2024, n. 10, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della l. 26 luglio 1975, n. 354 – Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure preventive e limitative della libertà, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del suo comportamento in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie.
A tale riguardo, la Corte ha affermato che «L’ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società».
La norma oggetto della dichiarazione di incostituzionalità, nel prescrivere in modo inderogabile il controllo a vista sui colloqui da parte del personale penitenziario, impedisce di fatto al detenuto di esercitare il proprio diritto all’affettività con le persone a lui stabilmente legate, anche quando ciò non sia giustificato da ragioni di sicurezza.
In questo importante pronunciamento, la Corte costituzionale ha pertanto rilevato la violazione degli artt. 3 e 27 (terzo comma) Cost. a motivo della irragionevole compressione della dignità della persona causata dall’art. 18 ord. pen. e per l’ostacolo che ne deriva alla finalità rieducativa delle pene.
Nel ricordare che gran parte degli ordinamenti europei riconosce oggi ai detenuti spazi di espressione dell’affettività intramuraria, inclusa la sessualità, la Corte costituzionale ha ritenuto violato anche l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, in ragione del difetto di proporzionalità di un divieto radicale di manifestazione dell’affettività all’interno degli istituti penitenziari.
Per quanto riguarda la definizione di appositi profili organizzativi connessi ai riflessi di tale importante sentenza, la Corte costituzionale ha auspicato un’«azione combinata del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell’amministrazione penitenziaria, ciascuno per le rispettive competenze», «con la gradualità eventualmente necessaria».
Si tratta in ogni caso di una importante riconoscimento a sostegno della dignità umana all’interno delle mura carcerarie e che di fatto coinvolge anche il tema della consumazione del matrimonio, per sua natura connesso all’esercizio del diritto di libertà religiosa.
In merito all’ambito operativo della sentenza n. 10/2024, la Corte costituzionale ha in ogni caso precisato che l’intervento non coinvolge il regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario, né i detenuti sottoposti alla sorveglianza particolare di cui all’art. 14-bis della stessa legge.
Raffaele Santoro