NEWSCITTA’ DEL VATICANO Decreto del Sommo Pontefice Francesco relativo alla pubblicazione di provvedimenti normativi nello Stato della Città del Vaticano
NEWSITALIA A 10 anni in classe con il niqab, la maestra insorge. (Vasco Fronzoni)
Luci ed ombre nel regime remunerativo-pensionistico dei religiosi in Italia
La legge di bilancio n. 213, del 30 dicembre 2023 ha di fatto svuotato in capo a religiosi di nazionalità straniera operanti in Italia il beneficio prodotto a seguito della rivalutazione dell’assegno sociale, a valere dal 2024 per tutti i cittadini, compresi i religiosi, con almeno 67 anni d’età.
La rivalutazione pensionistica, fissata nell’aumento pari a 31,14 euro mensili sull’assegno sociale, comportava un considerevole sostegno economico per le casse degli enti ecclesiastici (Congregazioni e Ordini) di appartenenza dei religiosi. Le recenti disposizioni di bilancio dello Stato, tuttavia, si abbattono pesantemente sui religiosi stranieri residenti in Italia, ma privi (o in attesa) di un regolare permesso di soggiorno, giacché inaspriscono le condizioni di ingresso per usufruire delle prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale. La citata l. 213/2023 stabilisce infatti, riguardo all’importo del contributo annuo che detti religiosi devono versare, una lievitazione dai più accessibili 387,34 euro, agli attuali duemila euro. Un aumento che, sebbene più contenuto (da 149 a 700 euro), non esenta neppure i religiosi ancora in fase di formazione negli studi.
Tale quadro si raccorda con la situazione critica relativa al più generale regime remunerativo-pensionistico interessante i religiosi in Italia, in conseguenza della crisi del modello di welfare-State ed al ben noto collo di bottiglia che incombe da anni sul trattamento economico riservato ai lavoratori che si avviano a concludere il periodo in attività, reso ancor più complesso dalle improvvise fiammate inflazionistiche e dal conseguente aumento del costo della vita, nonché dall’allargamento progressivo della platea dei fruitori dell’assegno previdenziale, in ragione dell’incremento della fascia della popolazione anziana.
Sotto questo profilo il legislatore ha cercato di porre rimedio a tale stato di cose con l’aumento delle pensioni minime (da 567,94 a 598,60 euro) per il 2024, corrispondente al trattamento minimo delle pensioni di vecchiaia, esteso tra l’altro alle pensioni di invalidità, gestito dal Fondo Clero: un trattamento evidentemente applicabile quando il religioso soddisfi le condizioni di legge per l’ottenimento dell’assegno (66 anni d’età con 40 anni di contributi, oppure 69 anni d’età con 20 anni di contributi).
Che il panorama regolamentare in materia sia caratterizzato da meccanismi compensativi volti a tamponare le falle di sistema, in un contesto in cui emergono più ombre che luci, sembra attestato da diversi segnali, esemplati dalla vicenda legata al c.d. “supeminimo” e a quella, anche più significativa, della riduzione dell’assegno pensionistico imposta al sacerdote percettore di doppia pensione.
Nel primo caso, il c.d. “superminimo”, si tratta di una misura di aumento dell’importo minimo del 2,7 per cento, pari a 16,16 euro al mese, che tuttavia incontra un tetto massimo non superabile l’importo dei 614,77 euro. Tale maggiorazione, inoltre, risente di rilevanti limiti strutturali, dato che ne può usufruire la ristretta cerchia di sacerdoti che abbiano versato i contributi per un periodo non superiore ai 22 anni.
Nel secondo caso il rigore normativo si intreccia con una ancor più evidente illogicità giuridica. Sui sacerdoti che siano legittimamente titolari di due differenti trattamenti pensionistici, ottenuti sulla base dei prescritti versamenti, si abbatte la mannaia della riduzione di un terzo del trattamento pensionistico (pari a 199,53 euro), per un non meglio precisato motivo legato alla riscossione di due vitalizi. I dubbi di legittimità di tale normativa, che sembra poggiare esclusivamente su esigenze di cassa, fanno leva sul criterio del riconoscimento di un margine minimo di intangibilità della fascia di redditi di garanzia, secondo una posizione espressa dalla Consulta in una sua non recente decisione (sent. n. 566, del 13 dicembre 1989), la quale ammetteva la “ragionevole riduzione del trattamento pensionistico (solo) nel caso si concorso con altra prestazione retribuita (quale) compenso derivante al pensionato, a seguito di nuova attività”.
La contraddittoria politica previdenziale, figlia dei tempi di crisi correnti, trova un ulteriore riscontro nel trattamento remunerativo previsto in linea con la menzionata legge di bilancio vigente per il 2024, che sale a 21 euro aggiuntivi all’assegno mensile (di 1049 euro lordi al mese).
Il vantaggioso trattamento, stabilito dalla CEI, con un ritocco dell’unità di calcolo per la misura della rimunerazione dei sacerdoti (c.d. “punto-base”) e gestito dall’Istituto Centrale di Sostentamento del Clero, prevede anche il “trattamento integrativo” per le remunerazioni più basse (entro i 15mila euro), di cui beneficeranno, oltre ai sacerdoti italiani, anche quelli stranieri impegnati in Italia nella missione a tempo pieno. Queste misure, tuttavia, non cancellano né riducono il problema, più sopra evidenziato, dell’assistenza sanitaria per i religiosi stranieri in Italia, il cui peso economico ricade tutto sulle spalle delle rispettive Case religiose e che richiede una soluzione concordata tra lo Stato e gli enti ed organismi ecclesiali competenti confluenti nel Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica.
Il problema appare di non facile e, tantomeno, di rapida soluzione, non solo perché i richiamati provvedimenti legislativi si armonizzano con gli orientamenti politici in materia di status degli stranieri extraeuropei, ma anche per la fragilità strutturale del percorso negoziale. La CEI, quale naturale interlocutore con il Governo è infatti priva di esperienza pregressa in tale delicata disciplina, né può contare sulle garanzie di una cornice normativa concordataria, dato che gli Accordi di Villa Madama tacciono in materia di assistenza sanitaria per gli ecclesiastici. Un tavolo di confronto tra i rappresentanti delle due autorità appare in ogni caso ineludibile anche nell’ipotesi, piuttosto realistica allo stato dei fatti, di dover attivare forme di assistenza sanitaria privata.
Fabio Vecchi