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L’11 gennaio 2024, la III sez. Cassazione penale deposita la sentenza n. 1253 del 21/11/2023 sul tema della tutela penale del sentimento religioso. Il contesto in cui si svolgono i fatti è la festa del santo Patrono di Salerno, San Matteo, celebrata il 21 settembre del 2014 con una processione, che viene turbata dall’intervento tumultuoso di numerosi partecipanti. Alla fine, due soggetti vengono incriminati per avere urlato contro il vescovo, Monsignor Luigi Moretti, ricorrendo ad una gestualità volgare ed aggressiva al fine da indurlo ad andarsene, il tutto a seguito, della decisione del prelato di vietare - secondo le disposizioni della Conferenza episcopale regionale - gli 'inchini' delle statue dei santi a tutela di un’autentica religiosità del rito, in adempimento delle sue responsabilità pastorali. Le 'paranze' si sono ribellate, deviando dal percorso stabilito dalla Curia per la processione. La situazione è, quindi, sfuggita di mano, ma soprattutto dal doveroso contegno religioso. Nella vicenda di Salerno i due indagati sono ritenuti colpevoli ai sensi degli artt. 403 e 405 cp. che sanzionano chiunque offende una confessione religiosa mediante vilipendio di chi la professa, o di un ministro del culto, e turbi lo svolgimento di una funzione religiosa. Con ricorso in Cassazione si contesta la manifesta illogicità della motivazione della sentenza di appello che difetterebbe nel riscontrare che “il soggetto cui erano rivolte le offese non era l'arcivescovo di Salerno, ma il capo dei portatori della statua di San Matteo e che, comunque, le menzionate offese “non sarebbero state certamente volte ad offendere il sentimento religioso, ma, semplicemente, le modalità organizzative della processione”. La Corte conferma l’orientamento della sentenza impugnata secondo cui la processione è equiparata ad una cerimonia della liturgia cattolica e la violazione dell’art. 405 cp. può essere perfezionata da due condotte antigiuridiche: l'impedimento della funzione, oppure la turbativa della funzione, quest’ultima materialmente riscontrabile nel caso di specie. La condotta incriminata, secondo i giudici consiste “nel manifestare ("tenere a vile"), un'offesa volgare e grossolana, che si concreta in atti che assumano caratteri evidenti di dileggio, derisione, disprezzo, e tali atti sono sorretti dal dolo generico, ossia dalla volontà di commettere il fatto con la consapevolezza della loro idoneità a vilipendere, tale da rendere anche irrilevante il movente dell'azione politica o sociale (Cass. pen., sez. III, 24 febbraio 1967, n. 328)”. L’importanza della circostanza nel cui contesto si realizza la condotta criminosa induce, inoltre, la Cassazione a non concedere l’esimente della particolare tenuità del fatto, ex. art. 131 bis cp, richiesta dai difensori. La Corte riscontra, quindi, l’offesa al sentimento religioso della comunità dei fedeli lì presenti, poiché viene contestata “la particolare autorevolezza che la stessa comunità attribuisce alla figura del vescovo nell'esercizio delle sue funzioni pastorali”, massima autorità spirituale che rappresenta gli interessi religiosi della comunità locale. Questa posizione rigida della Suprema Corte non esclude in toto la possibilità che il diritto di libertà religiosa venga ad esser limitato dall’esercizio del diritto di una libera manifestazione del pensiero, nell’ottica di un sereno bilanciamento tra interessi costituzionalmente garantiti, artt. 19 e 21 Cost, auspicata dalla richiamata sentenza della Consulta n. 188 del 27 giugno 1975. La manifestazione di un pensiero critico potrebbe, perfino, essere considerata come esimente, purché venga mossa entro limiti ben precisi. Si deve, infatti, tradurre «nella espressione motivata e consapevole di un apprezzamento diverso e talora antitetico, risultante da un’indagine condotta, con serenità di metodo, da persona fornita delle necessarie attitudini e di adeguata preparazione» (Cass. I Civ. Sent. 7 aprile 2015, n. 41044, richiamata dalla sent. 17 gennaio 2017, n. 1952). Caratteristiche non riconosciute riscontrabili nei comportamenti dei ricorrenti, che, al contrario, concretizzano una mera violazione del diritto di libertà religiosa che, per il nostro Legislatore, esprime un sentimento assorto ad interesse generale, che trascende il patrimonio morale individuale, e nel caso di specie, viene penalmente tutelato applicando gli artt. 403 e 405 cp.
Cristiana Maria Pettinato