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Con decreto del 1 luglio 2023, il Vescovo della Diocesi di Sulmona-Valva, S.E. Mons. Michele Fusco, ha abolito, a partire dal 1 agosto 2023 ed a tempo indeterminato, all’interno del territorio della sua Diocesi, l’ufficio di padrino e madrina per i sacramenti del battesimo e della confermazione. Tale decisione è stata assunta dopo un triennio ad experimentumin cui si è provveduto a sospendere ad tempus il predetto ufficio. Stando al testo del decreto episcopale del 2023, constatato che quanto stabilito nel 2020 “è stato ben recepito e puntualmente attuato” e confermando le motivazioni che avevano già determinato la scelta del presule, la decisione diviene definitiva e l’ufficio viene abolito. Quello del Vescovo di Sulmona è il primo decreto che abolisce a tempo indeterminato l’ufficio di padrino e madrina. Come è noto, molti Vescovi diocesani in Italia hanno provveduto, negli ultimi anni, ad emanare decreti ad experimentum, normalmente di durata triennale, con cui hanno stabilito la sospensione dei suddetti uffici, in alcuni casi anche per il solo sacramento del battesimo o della confermazione. In questa direzione hanno operato ad oggi – ma senza pretesa di esaustività – le Diocesi di Rossano-Cariati, Ventimiglia-Sanremo, Viterbo, Cosenza, Grosseto, Catania, Mazara del Vallo, Melfi, Brindisi, Viterbo, Gubbio, Oristano, Spoleto-Norcia, Agrigento, Palermo, Brindisi, Teano-Alife-Sessa Aurunca. Precursore, ma con l’obiettivo di scongiurare il legame tra amministrazione dei sacramenti e mafia, era stato l’Arcivescovo di Reggio Calabria nel 2014. La decisione dei Vescovi (come emerge dalle motivazioni rappresentate nei decreti) è dettata dalla constatazione che l’ufficio di padrino e/o madrina ha perso il suo reale valore, che tale incarico si sostanzia in un adempimento prevalentemente formale che poco avrebbe ormai a che fare con la dimensione spirituale e di fede, che la scelta del padrino e/o della madrina viene compiuta con criteri e finalità, spesso anche molto discutibili e di interesse o clientelari, che non tengono conto del ruolo che tali figure sono chiamate a svolgere, come anche che la complessità odierna delle relazioni familiari, propria di tanti fedeli proposti a questo ufficio, rende delicato, difficile e fonte di contrasto ed incomprensione il rapporto tra fedeli e parroco, tenuto conto che quest’ultimo non può che attenersi ai criteri soggettivi per l’incarico come prescritti nel Codice di diritto canonico (cfr. can. 874) e alla finalità dell’ufficio stesso (cfr. can. 872). Inoltre, tutti i decreti episcopali richiamano il can. 872 del Codice di diritto canonico che, stabilendo: “Al battezzando, per quanto è possibile, venga dato un padrino,…”,indicherebbe la sola possibilità/eventualità della presenza di tali figure ma non la loro obbligatorietà.
Il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 1255) ricorda che i padrini e le madrine, che sono chiamati a svolgere una funzione ecclesiale (officium), devono essere credenti solidi, capaci e pronti a sostenere nel cammino della vita cristiana il neo-battezzato, bambino o adulto; per quanto riguarda la Confermazione, il n. 1311 del CCC, nell’affermare l’opportunità della loro presenza, esprime la preferenza per una continuità nell’incarico, anche con l’obiettivo di rafforzare il legame teologico tra i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Il Codice di diritto canonico (cann. 872-874 e cann. 892-893) premette che compito del padrino e/o della madrina è, nel caso del sacramento del battesimo, assistere il battezzando adulto o presentare al battesimo con i genitori il battezzando infante, cooperando affinché il battezzato conduca una vita cristiana conforme al battesimo adempiendone fedelmente gli obblighi, mentre, nel caso del sacramento della confermazione, è quello di provvedere che il confermato si comporti come vero testimone di Cristo. Di seguito il Codice stabilisce le condizioni affinché si possa essere ammessi all'incarico: designazione dallo stesso battezzando/cresimando o dai suoi genitori,nel caso del battesimo,o da chi ne fa le veci oppure, mancando questi, dal parroco o dal ministro; attitudine e intenzione di esercitare l’incarico; età minima di sedici anni salvo deroghe ed eccezioni; ricezione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana; conformità di vita alla fede e all'incarico; assenza di pene canoniche legittimamente inflitte o dichiarate.
Il Decreto del Vescovo di Sulmona, pone, ad un primo approfondimento, diverse questioni, tanto di carattere strettamente giuridico quanto di carattere teologico e pastorale.
La questione giuridica principale riguarda il rapporto tra diritto universale e diritto particolare. La coesistenza della dimensione universale con quella particolare non è solo una costante storica per la Chiesa cattolica, ma è anche un elemento che risponde alla sua essenza. Ciò si sostanzia anche nella dimensione giuridica della Chiesa e la codificazione canonica, nel solco dell’insegnamento conciliare, regola il rapporto tra il diritto universale e quello particolare, sebbene ancora in modo non “proporzionato” (Corecco). Il sistema vigente è essenzialmente costituito dal combinato disposto dei cann. 20 e 135, § 2 CIC. Il can. 20 statuisce che «lex universalis minime derogat iuri particulari aut speciali, nisi aliud in iure expresse caveatur» stabilendo, quindi, la regola generale del rispetto del diritto particolare, sino al punto che allorquando venisse emanata una legge universale – successiva – contraria ad una particolare - precedente – quest’ultima resterebbe in vigore. Tuttavia, lo stesso can. 20, specificando: «a meno che il diritto preveda espressamente altro» riconosce, comunque, la superiorità del legislatore universale, che può derogare al diritto particolare, ma solo quando ciò sia indicato espressamente. Tale sistema si pone a tutela della comunione ecclesiastica, della ragionevolezza della legislazione inferiore e della tutela dei diritti dei fedeli. Lo chiarisce il can. 135 §2 statuendo, tra l’altro, che il legislatore inferiore (particolare) non può promulgare validamente una legge contraria al diritto superiore, tenuto conto che, il Vescovo diocesano, a norma del can. 392 CIC,«è tenuto a promuovere la disciplina comune a tutta la Chiesa e perciò a urgere l'osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche».
L’atto del Vescovo di Sulmona è da annoverarsi tra gli atti legislativi episcopali nella forma del decreto generale con destinatario astratto, in quanto rivolto a tutti i fedeli della sua Diocesi (cann. 29-30). Trattandosi di diritto particolare, alla luce di quanto specificato, e abolendo l’ufficio di padrino e madrina nel territorio diocesano, tale legge particolare vieta oggi per i fedeli del territorio diocesano interessato quanto la legge universale in tema, ed alle condizioni stabilite, permette.
Con una Risposta del 1975 (Notitiae 11 [1975], pp. 61-62), l’allora Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti aveva specificato che, al di fuori dei casi straordinari, il padrino della cresima debba esserci. Se è vero, infatti, che spetta all’Ordinario del luogo, nella sua prudenza pastorale e “tenendo conto delle situazioni e circostanze del luogo” indicare “quale modo di agire deve essere seguito nella sua diocesi”, alla luce della Risposta, ciò gli consentiva solo in casi particolari, di permettere (rectius dispensare) che un fedele si accostasse «alla Confermazione senza alcun padrino». La Risposta veniva ribadita dopo la pubblicazione del Codice di diritto canonico (Notitiae 20 [1984], p. 86).
Il Dicastero per i Testi Legislativi, a norma dell’art. 181 della Costituzione apostolica Praedicate Evangelium, ha la competenza, ma su richiesta degli interessati, di determinare se le leggi e i decreti generali emessi dai legislatori inferiori al Romano Pontefice siano conformi alla legge universale della Chiesa. Nella recente risposta (12 maggio 2020) ad un quesito, proprio in tema di rapporto tra diritto particolare e diritto universale, il Dicastero ha ricordato che “A norma del can. 135 §2, il legislatore inferiore non può dare validamente una legge contraria al diritto superiore, in quanto la legge inferiore deve, tra le altre cose, essere sottomessa all’autorità superiore e rispettare la gerarchia delle norme emanate da legislatore di diverso grado gerarchico”, evidenziando come debba ritenersi infondato, per giustificare una legge particolare contraria all’universale, il ricorso ad altri istituti, come la consuetudine (o la dispensa), e suggerendo, piuttosto, “di richiedere alla Santa Sede l’approvazione di un decreto” di tal genere. Non dirimente, infatti, per quanto significativo, è il ricorso ad altri “pareri”, come nei decreti episcopali di sospensione o abolizione dell’ufficio di padrino e madrina spesso viene richiamato, con la consultazione del Consiglio presbiterale o del Collegio dei consultori. Il suggerimento del Dicastero per i Testi Legislativi potrebbe certamente essere utile per i presuli che si preparano a seguire la scia del decreto della Diocesi sulmonese.
A ciò si aggiunga una considerazione più generale, circa il significato dell’inciso “quantum fieri potest”contenuto nel can. 872 CIC. La norma, stando al tenore complessivo del testo, non è certamente tassativa o precettiva, come del resto non lo era nel Codice del 1917, ma non deve essere neppure ritenuta meramente facoltativa, come invece sembrerebbero ritenere tutti i Vescovi che hanno decretato ad oggi la sospensione temporanea dell’ufficio di padrino e di madrina.
L’abolizione di padrini e madrine, pone anche problematiche di rilevanza teologica. Alcuni decreti episcopali sottolineano, in luogo del ruolo di tali uffici quello della comunità parrocchiale che sarebbe chiamata a “presentare” il candidato ai sacramenti ed a farsi carico della sua crescita spirituale. Come recentemente ribadito dal Dicastero per la Dottrina delle Fede, nella Nota dottrinale circa la modifica della formula sacramentale del Battesimo del 6 agosto 2020, bisogna tener sempre chiaro che nella celebrazione dei sacramenti, il soggetto è la Chiesa-Corpo di Cristo insieme al suo Capo, che si manifesta nella concreta assemblea radunata, ma tale assemblea agisce ministerialmente – non collegialmente – perché nessun gruppo può fare di se stesso Chiesa, ma diviene Chiesa in virtù di una chiamata che non può sorgere dall’interno dell’assemblea stessa. Di conseguenza, nel caso specifico del sacramento del battesimo, come specifica la Nota, “il ministro […] non può nemmeno dichiarare di agire a nome dei genitori, dei padrini, dei familiari o degli amici, e nemmeno a nome della stessa assemblea radunata per la celebrazione”.
Infine, quanto al profilo pastorale, sospendere o abolire padrini e madrine appare davvero la soluzione più opportuna, come alcuni decreti affermano, per rafforzare lo “spirito” ed il significato dell’ufficio, nel mentre, però, si decide di non conferirlo più? Sul rinnovamento della pastorale sacramentale nell’iniziazione cristiana si segnala il decreto dell’Arcivescovo di Genova, ad experimentum e ad triennium, del febbraio 2023 ed in vigore dal prossimo dicembre, che ha, invece, stabilito, in controtendenza rispetto a quelli dei suoi confratelli, di costruire per i padrini e le madrine, al fine di inserirli nuovamente in un cammino cristiano di fede, percorsi - suggeriti anche dalla creatività pastorale - con momenti di ascolto e condivisione della Parola di Dio, ovvero proporre a quelle persone indicate dalla famiglia che, pur non avendo i requisiti prescritti, esprimono pur sempre una positiva vicinanza parentale, affettiva ed educativa, l’opportunità di prendere parte alla celebrazione del sacramento solo come testimoni del rito sacramentale (cfr. can. 875 CIC). Tale decreto sembra puntare a valorizzare ed a meglio determinare, nell’ambito del can. 872, il problematico riferimento al “condurre una vita conforme alla fede”, considerato che territori, culture e situazioni diverse – e da qui l’importante contributo della legislazione inferiore - provocano determinazioni diverse che solo il diritto particolare potrebbe meglio evidenziare, anche in vista della preservazione dell’incarico di padrino e madrina.
Tuttavia, considerando che «la realtà è superiore all'idea», secondo uno dei postulati che guidano il pensiero di papa Francesco, non si può non tener conto della oggettività dei presupposti che hanno determinato i decreti episcopali di sospensione e abolizione dell’ufficio di padrino e madrina e, in tal senso, tenuto comunque conto del fatto che“la strada appare ormai tracciata”, si potrebbe suggerire una piccola quanto efficace modifica del can. 872 che punti ad aggiungere nel testo della disposizione la locuzione, già prevista altrove nel CIC,“a meno che il diritto particolare non stabilisca diversamente”, superandocosì equivoci, fraintendimenti, malcontenti, o peggio ricorsi e, possibilmente, sollecitando anche le Conferenze episcopali in vista di decisioni future il più possibile chiare per un determinato territorio, frutto anche di un “ascolto” sinodale “della voce di Cristo che parla attraverso e soprattutto l’intero popolo di Dio” (Cost. ap. Episcopalis communio, 5).
Paolo Palumbo
Università Giustino FortunatoPAROLE CHIAVE
padrini, madrine, diritto universale, diritto particolare, decreto, battesimo, confermazione