NEWSINDONESIA Vilipendio a mezzo Tiktok (Stefano Testa Bappenheim)
NEWSCORTE DI GIUSTIZIA UE Libertà religiosa del lavoratore e neutralità dei pubblici uffici. La pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 28 novembre 2023 (Fabio Balsamo)
Carpi
Di recente, da Carpi si è avuta la notizia secondo cui in una scuola secondaria di primo grado, la necessità di permettere alcuni lavori di ritinteggiatura aveva fatto togliere i crocifissi delle aule scolastiche, ma, a lavori conclusi, la dirigente scolastica si sarebbe rifiutata di ricollocare i crocifissi alle pareti: “Il crocifisso è un simbolo religioso. Qui siamo in una scuola, non in una chiesa. Per questo ho ritenuto di fare togliere i crocifissi dalle aule, questa estate, in occasione di alcuni lavori di ristrutturazione e pittura dei locali dell’istituto” avrebbe affermato, secondo Avvenire (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/preside-di-carpi-toglie-il-crocifisso-pieno-di-firme-per-la-lettera-di-protesta), la preside.
Questa notizia ha suscitato immediatamente una vastissima eco di protesta, com’è finora sempre accaduto quando sono state prese decisioni del genere; a seguito del divampare delle polemiche ed alla ferma e decisa opposizione d’un gruppo di genitori ed insegnanti, la questione s’è risolta in un fraintendimento, come ha sottolineato il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale per l’Emilia Romagna: “A seguito degli articoli di stampa che si sono interessati della vicenda in questi giorni, la dirigente ha inviato una comunicazione scritta all’Ufficio scolastico regionale, per assicurare che nessuno aveva disposto la rimozione dei crocifissi: semplicemente, non erano stati ancora rimessi dopo la riqualificazione estiva degli spazi, ma mi risulta che ieri siano tornati al loro posto”, e la preside stessa ha fatto sapere che “non è in atto alcuna battaglia contro i crocifissi, né alcun divieto a riguardo, né sollevazione dei docenti”, riferisce sempre Avvenire (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/carpi-il-crocifisso-torna-in-aula).
Pare utile, dunque, ricordare come sulla questione si sia già pronunciata le CEDU, con la sentenza della Grande Chambre nell’affaire Lautsi, e, più di recente, le SS.UU. della Cassazione, con la sentenza 24414/2021.
Sulla questione era intervenuto lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con un messaggio inviato ai partecipanti alla Tavola Rotonda sul tema “Valori e diritti – Il caso del Crocifisso” del 23 giugno 2010: il Presidente aveva ricordato che “più volte e in diverse sedi ho avuto modo di riconoscere la rilevanza pubblica e sociale del fatto religioso e il valore della laicità dello Stato, a garanzia della libertà religiosa e dei rapporti tra confessioni religiose e autorità statuali, nel segno della reciproca autonomia e dell’accettazione del metodo democratico”, e sottolineato che “la laicità dell’Europa non può essere concepita e vissuta in termini tali da ferire sentimenti popolari elementari e profondi”, sicché ne conseguiva “che la questione, particolarmente sensibile, dell’atteggiamento da tenere nei confronti delle simbologie religiose può essere più opportunamente affrontata – secondo il principio generale di sussidiarietà, che ha finora costantemente ispirato la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – dai singoli Stati, che sono in grado di meglio percepirne la valenza in rapporto ai sentimenti diffusi nelle rispettive popolazioni”, e la Grande Chambre nel marzo 2011 aveva stabilito che la presenza d’un crocifisso in aula non violasse la libertà religiosa degli allievi né dei loro genitori.
Parzialmente diversa la questione affrontata dalle SS.UU., poiché qui s’era doluto della violazione della propria libertà religiosa un docente, che rimuoveva il crocifisso dalla parete al suo ingresso nell’aula per rimetterlo a posto alla fine della propria lezione, disattendendo espressa richiesta di lasciare il crocifisso alla parete presa dall’assemblea di classe e poi formalizzata in circolare del preside.
Le SS.UU. escludono che la presenza del simbolo, quando derivi da una richiesta degli studenti in quello spazio pubblico peculiare nel quale essi imparano a convivere insieme e a formarsi culturalmente, qualifichi “tirannicamente” l’esercizio dell’attività che in esso si svolga; richiamando la Grande Chambre nell’affaire Lautsi, ribadiscono che un crocifisso appeso al muro d’un’aula scolastica è un simbolo essenzialmente passivo, perché non implica da parte del potenziale destinatario del messaggio alcun atto, neppure implicito, di adesione, ed anzi esso nella sua fissità e nella sua dimensione statica, non pretende osservanza né riverenza; la sua esposizione è inidonea, tenuto conto del contesto di riferimento, a costituire una forma di proselitismo attivo o di indottrinamento: il crocifisso non presenta una invasività psicologica tale da condizionare indebitamente li rapporto educativo tra allievi, genitori e istituto scolastico, né gli si può attribuire un’influenza sugli allievi paragonabile a quella che potrebbe avere un discorso didattico o la partecipazione ad attività religiose.
Nel caso in questione, dunque, non siamo in presenza di un crocifisso di Stato, bensì dei sentimenti d’una società civile, di comunità, di personalità che si svolgono e di coscienze morali che si manifestano nell’ambito di quella peculiare formazione sociale che è la scuola.
Le SS.UU. ritengono che questo criterio vada seguito quando vengano in considerazione diverse libertà di coscienza, evitando perciò che vi sia un tutto per una delle due libertà ed un nulla per l’altra, che un diritto si trasformi in “tiranno” nei confronti dell’altro, che l’esito finale s’identifichi, in violazione del principio pluralista, con una soltanto delle diverse opzioni in campo, che la tensione tra diritti di pari dignità si trasformi in scontro tra valori.
La soluzione è, dunque, l’accomodamento ragionevole, che favorisce, insieme al raggiungimento di soluzioni concrete più eque, l’incontro e al creazione di un clima di mutuo rispetto, di condivisione e di comune appartenenza, di coesione e di intesa, particolarmente utile in uno spazio vitale di convivenza organizzata come l’aula scolastica; esso, inoltre, è frutto ed espressione della laicità come metodo, un metodo in grado d’accomunare credenti e non credenti e di far coesistere e dialogare fra loro diverse fedi e convinzioni attraverso il rifiuto di chiusure dogmatiche contrapposte.
Tanto premesso, le SS.UU. ritengono che la dimensione fattuale del caso di specie induca ad escludere la sussistenza della discriminazione indiretta ai danni del docente: recependo la volontà espressa dall’assemblea degli studenti in ordine alla presenza del simbolo, infatti, il dirigente scolastico non ha connotato in senso religioso l’esercizio della funzione pubblica di insegnamento, né ha aderito ai valori della religione cattolica, né ha costretto o indotto i docenti non cattolici a svolgere l’attività di insegnamento in nome dei valori proprî di quel credo religioso, spingendoli ad allinearsi a, o a misurarsi con, una convinzione di fede che non fosse la loro.
Risulta dal verbale del consiglio di classe che tanto la classe quanto la scuola in cui s’è svolta la vicenda siano caratterizzate da una situazione di “laicità pluralista” e che, in particolare, la presenza del simbolo non abbia creato alcun problema agli alunni, alcuni dei quali anche di religione musulmana e provenienti dall’Europa orientale.
L’affissione del crocifisso non ostacola il docente nell’esercizio di nessuna delle sue libertà, anche quella di criticare davanti alla classe, in forme legittime e rispettose della altrui coscienza morale, il significato e la stessa presenza del simbolo.
L’affissione del crocifisso può risultare “sgradita” al ricorrente, ma da sola non è in grado né di intaccare la sfera delle sue convinzioni personali e delle sue opzioni in materia religiosa, né di pregiudicare la possibilità di esprimerle e di manifestarle, come cittadino e come docente, nell’ambiente scolastico. Le convinzioni personali dell’insegnante, orientate alla negazione di qualsiasi realtà della dimensione divina, come pure la libertà di manifestazione delle stesse, restano tali e non sono minacciate in ragione della presenza di quelle altrui, anche opposte e confliggenti, e delle rappresentazioni simboliche che di esse facciano gli studenti.
Nella fattispecie, che qui ci occupa, della affissione derivante da una richiesta degli studenti, la mera percezione visiva del crocifisso è il risultato dell’esercizio di un diritto fondamentale da parte degli alunni che fanno parte della stessa comunità. Non è configurabile discriminazione per il fatto che il docente non è stato risparmiato, nello spazio pubblico condiviso, da quella esposizione e da quella percezione visiva.
Il crocifisso nelle scuole, dunque, espressione d’una richiesta degli alunni, ed eventualmente affiancabile da altri simboli religiosi, dicono le SS.UU., non viola in nessun modo la laicità dello Stato, e può restare.
Stefano Testa Bappenheim
PAROLE CHIAVE
Crocifisso, simboli religiosi, laicità dello Stato, scuola, Lautsi