NEWSCITTA’ DEL VATICANO Il contributo delle confessioni religiose al dibattito sull’algor-etica. Il Messaggio di Papa Francesco per la LVII Giornata Mondiale della Pace sul tema “Intelligenza artificiale e pace” (Fabio Balsamo)
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Il documento «Fiducia supplicans» (2023) non cambia la dottrina della Chiesa cattolica né in materia di matrimonio né in materia di unioni omosessuali. A mutare è l’indirizzo interpretativo nei confronti del significato da attribuire alla benedizione in relazione alle coppie irregolari o fra persone dello stesso sesso: «non si intende legittimare nulla ma soltanto aprire la propria vita a Dio, chiedere il suo aiuto per vivere meglio, ed anche invocare lo Spirito Santo perché i valori del Vangelo possano essere vissuti con maggiore fedeltà» (par. 40). Di segno opposto, solo due anni addietro, era stato il Responsum della stessa Congregazione per la dottrina della fede (2021): «la presenza in tali relazioni di elementi positivi, che in sé sono pur da apprezzare e valorizzare, non è comunque in grado di coonestarle e renderle quindi legittimamente oggetto di una benedizione ecclesiale, poiché tali elementi si trovano al servizio di una unione non ordinata al disegno del Creatore».
Un cambio di rotta palese, quindi, dovuto anche ad una delle Respuestas fornite da papa Francesco a cinque cardinale che avevano espresso alcuni dubia. D’altronde, la veste formale che assume il testo - una «Dichiarazione» - di per sé dà conto dell’importanza della questione sul piano dottrinale, rappresentando «un vero sviluppo rispetto a quanto è stato detto sulle benedizioni nel Magistero e nei testi ufficiali della Chiesa» (Presentazione).
LA PASTORALE SUPERA LA TEOLOGIA
Nel nuovo documento è messa in luce la dimensione «ascendente» del sacramentale della benedizione: «a nessuno si può impedire questo rendimento di grazie e ciascuno, anche se vive in situazioni non ordinate al disegno del Creatore, possiede elementi positivi per i quali lodare il Signore» (par. 28). In tal modo, paiono trovare una concreta applicazione le parole - «Chi sono io per giudicare?» – che Papa Francesco aveva pronunciato nel 2013 di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, lasciando presagire l’avvento di una stagione ecclesiale di discernimento, di accompagnamento e di disponibilità pastorale per le persone e le unioni omosessuali. Due anni più tardi, lo stesso Pontefice nell’esortazione «Amoris Laetitia» (2015) aveva ribadito quanto emerso nel Sinodo dei vescovi sulla famiglia: «ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto» (par. 250).
Con «Fiducia supplicans» il mutamento di prospettiva nella Chiesa cattolica è evidente. Generalmente, il dato pastorale poggia su quello teologico. Invece, in questo caso, la prospettiva è del tutto capovolta. Come si legge, è la «riflessione teologica» ad essere «basata sulla visione pastorale di papa Francesco», sottoponendo così l’ortodossia all’ortoprassi (su questa linea Pierluigi Consorti aveva valutato «giuridicamente inappropriato» il Responsum del 2021).
L’ASSISTENZA DEL MINISTRO ORDINATO
La logica è conseguenziale: è possibile benedire le coppie fra persone dello stesso sesso, ma rimane fermo l’insegnamento cattolico in merito al matrimonio e alla famiglia. Anche qui, nulla di nuovo rispetto al magistero di Papa Francesco, che in «Amoris Laetitia» riprendeva un documento del 2003 dell’ex Sant’Uffizio: «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia» (par. 4). Inoltre nel 2018 il Pontefice in un’udienza riaffermava che la «famiglia umana come immagine di Dio, uomo e donna, è una sola». La posizione può essere o meno condivisa, ma dal punto di vista teologico il principio è chiaro, e si riflette in alcune legislazione statali: in prospettiva comparata, si consideri che persino nel “laico” ordinamento italiano le unioni civili non sono famiglia nel senso costituzionale del termine (art. 29 Cost.), in quanto la legge n. 76 del 2016 le riconduce a generiche formazioni sociali (art. 2 Cost.).
Il problema, però, è che la struttura teologica di tale prospettiva non appare così granitica per come è presentata. «Fiducia supplicans» distingue tra la benedizione per le coppie irregolari o omosessuali, che avrebbe natura solo “ascendente”, e la benedizione propria del sacramento del matrimonio, che avrebbe natura tanto “ascendente” quanto “discendente”. Tenendo presente che l’atto della benedizione del matrimonio non corrisponde al momento costitutivo del sacramento, i cui ministri rimangono gli sposi, il documento specifica che quando ci si riferisce alla benedizione matrimoniale «non si tratta di una qualsiasi benedizione, ma del gesto riservato al ministro ordinato» (par. 6). In effetti, a seconda delle circostanze, i libri liturgici possono prevedere che i sacramentali siano impartiti anche da laiche e da laici in forza della dignità sacerdotale derivante battesimo (cfr. il can. 1168). Nel caso specifico, la Dichiarazione riserva, anche nella fase di discernimento, la benedizione delle coppie irregolari o fra persone dello stesso sesso al ministro ordinato (par. 30), il quale può chiedere «per costoro la pace, la salute, uno spirito di pazienza, dialogo ed aiuto vicendevole, ma anche la luce e la forza di Dio per poter compiere pienamente la sua volontà» (par. 38). Ne consegue che neanche quest’ultima sarebbe alla stregua di una «qualsiasi benedizione», nonostante il documento chiarisca che si tratta di una «semplice benedizione» o di una «benedizione spontanea» (par. 39). Da questo punto di vista, viene da chiedersi: come mai per una «semplice benedizione» si richiede esplicitamente l’assistenza di un ministro ordinato? Probabilmente, è proprio nella presenza del ministro ordinato che risiede il carattere autenticamente innovativo del documento del Dicastero, inducendo ad escludere che tale tipo di benedizione possa avere una portata esclusivamente “ascendente”.
VINO NUOVO IN OTRI VECCHI?
Inoltre, «Fiducia supplicans» rifiuta una possibile assimilazione tra la benedizione e le forme di unioni civili previste negli ordinamenti statali. Vale a dire, la benedizione per le coppie irregolari o omosessuali non è da considerarsi quale costitutiva di una sorta di unione religiosa, ancorché qualitativamente meno rilevante del matrimonio. Questa visione, però, si traduce in una eccessiva prudenza ecclesiale che finisce per produrre l’equivoco della sovrapposizione tra una benedizione non inserita in un rito liturgico (cioè, al di fuori della celebrazione eucaristica o di un sacramento) e una benedizione non ritualizzata. Secondo la Dichiarazione, non bisogna «né promuovere né prevedere un rituale per le benedizioni di coppie in una situazione irregolare» (par. 38): non ci si trova di fronte né ad un atto «liturgico» né ad un atto «semi-liturgico» (par. 36) e la benedizione non può essere svolta «contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi», oppure «neanche con degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio» (par. 39). Per questo motivo, i ministri ordinati non devono attendersi ulteriori indicazioni rispetto a quelle già fornite. Ma la ritualizzazione di una benedizione non imprime ad essa alcuna caratterizzazione liturgica e, tantomeno, sacramentale. In realtà, il processo ritualizzate risponde ad esigenze di natura pratica volte ad evitare elementi di confusione tra i ministri ordinati e i fedeli che, nella situazione in esame, considerata la portata innovativa, potrebbero facilmente sorgere.
Insomma, certamente ci si trova di fronte ad un «vero sviluppo» per la Chiesa cattolica in materia di benedizione delle unioni irregolari o fra persone dello stesso sesso. Ma da una prima lettura del documento, a parere di chi scrive, sembra che, anche inconsapevolmente, si stia versando – o rischiando di versare - «vino nuovo in otri vecchi», mentre è risaputo che il vino nuovo ha bisogno di «otri nuovi» (Mt 9, 17).
È quindi quantomai urgente per la Chiesa cattolica dotarsi di otri nuovi, anche in termini di categorie teologiche e canonistiche. La direzione sembra essere quella giusta: partire dal “basso”, dalle esigenze concrete e dalle vite dei fedeli, dall’ortoprassi. Ma una riflessione generale sulla sessualità e sulle relazioni affettive, in particolari quelle omoaffettive, nella Chiesa e nella società, che vada al di là di preconcetti sedimentati nei secoli e intervenga sulla stessa disciplina matrimoniale, non è più rinviabile.
Luigi Mariano Guzzo
(Università di Pisa)