Numero 2/2020GIOVANNI BATTISTA VARNIER Recensione a Alessandro Albisetti, Diritto e religione a Cuba
Numero 2/2020Giurisprudenza e legislazione tributaria
RIASSUNTO
La Rota romana con il decreto in commento torna, nuovamente, ad occuparsi del tema dell’appello manifestamente dilatorio, introdotto dalla riforma del processo matrimoniale del 2015, ancora in attesa di trovare un consolidato orientamento giurisprudenziale che ne definisca gli incerti contorni applicativi. La soluzione proposta dalla Rota si segnala soprattutto per l’apprezzabile tentativo di realizzare un equilibrio giurisprudenziale tra il diritto di difesa che si estrinseca nell’appello e il diritto, altrettanto rilevante, ad avere una celere definizione di un processo il tutto, tenendo prioritariamente in considerazione la salus animarum delle parti. Tuttavia, la conclusione cui giunge la Rota sembra essere poco bilanciata in quanto restringe eccessivamente gli spazi concessi all’appello. Infatti, il decreto in esame interpreta il funzionamento del filtro subordinando l’ammissibilità dell’appello al fatto che l’appellante si dimostri – sin dagli atti introduttivi dell’impugnazione – in grado di produrre nuovi elementi, non solo argomentativi bensì anche probatori, aventi un grado di novità tale da fare ragionevolmente ritenere di potere ribaltare l’esito del giudizio di primo grado. Così argomentando, si rischia, però, di accostare l’appello che un mezzo ordinario di impugnazione della sentenza al diverso istituto della Nova Causae propositio.
Infine, il decreto contiene un esplicito monito rivolto alle parti in causa al rispetto dei diritti reciproci e verso i figli che appare in linea con la tutela del “bonum familiae” che è al centro dell’attuale magistero pontificio, secondo cui il bene della famiglia, e soprattutto dei figli minori, anche nelle ipotesi di nullità matrimoniale, viene sempre al primo posto e, pertanto, non può essere lasciato al solo intervento delle autorità civili.
PAROLE CHIAVE
appello, filtro, matrimonio, bonum familae