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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si trova a dover valutare una questione riguardante la violazione della libertà religiosa, questa volta a danno di un cittadino americano, cristiano battista, trasferitosi in una cittadina russa e non appartenente in modo formale ad alcuna organizzazione regolarmente riconosciuta in Russia, il quale viene multato dall’autorità locale per avere organizzato, in casa propria, incontri di studio sulla Bibbia, dopo avere distribuito inviti nelle cassette della posta.
La contestazione mossa al ricorrente, il quale è stato perfino arrestato, è di non avere chiesto una regolare autorizzazione a svolgere attività di proselitismo (missionary work) come prevede la nuova normativa in vigore in Russia dal 2016 che è parte di un pacchetto antiterrorismo, la legge sulla lotta al terrorismo e il miglioramento della sicurezza pubblica (legge federale n. 374-FZ del 6 luglio 2016) che ha introdotto nuovi illeciti amministrativi in materia di libertà di coscienza e di religione e ha aggiunto il nuovo capitolo III.1, “Opera missionaria”, alla sezione Religioni. Il ricorrente lamenta di aver agito autonomamente esercitando il diritto a divulgare le proprie personali credenze, non essendo membro di alcuna associazione religiosa e non essendo tenuto a chiedere alcuna autorizzazione, in quanto la propria attività non ritiene essere rientrante nell’attività missionaria di cui parla il Russia’s Religions Act, e la sua predicazione non ha costituito “una corruzione o una deformazione del vero evangelismo” (Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993, § 48, Serie A n. 260‐A) né alcuna minaccia di pericolo per l'ordine pubblico.
In primo luogo la Corte, sulla base di una propria ventennale consolidata giurisprudenza che muove dalla sentenza pionieristica Kokkinakis v. Grecia del 1993, ravvisa la violazione dell’art. 9 CEDU ai danni del ricorrente in quanto l’attività di proselitismo, ovvero di diffusione delle proprie convinzioni religiose, anche con attività di porta a porta, rientra nella protezione di suddetta norma, qualora non vi siano evidenze di uso di mezzi impropri atti a violare la libera adesione dei soggetti contattati, o l’incitamento a compiere azioni basate su odio o discriminazione. La Corte evidenzia che l’unico motivo per cui il ricorrente viene sanzionato è il mancato ottemperamento delle prescrizioni richieste dalla normativa del 2016 e ravvisa che tali adempimenti siano atti a procurare solo una limitazione dell’attività di proselitismo, intesa nel caso di specie, come libertà di divulgare le proprie convinzioni religiose in forma privata, senza cioè far parte di alcun tipo di organizzazione religiosa.
Il convincimento della Corte muove dalla mancata dimostrazione, da parte del Governo russo, della giustificazione dell’ingerenza nella libertà religiosa del ricorrente mediante il richiamo al concetto di “pressing social need”. La violazione dell’art. 9 è, oltretutto, ritenuta, nel caso in esame, misura non necessaria in una società democratica, quindi non si riconosce al governo russo la possibilità di ricorrere al margine di apprezzamento ex art. 9 comma 2.
In secondo luogo la decisione della Corte procede nel senso di riconoscere l’invocata violazione dell’art. 14 CEDU, in quanto la sanzione per attività missionaria illecita di un gruppo o di un soggetto, di nazionalità diversa da quella russa, risulta essere sei volte maggiore rispetto a quella applicabile ai cittadini russi, per questa ragione i giudici di Strasburgo invitano il governo ad adeguare la nuova normativa del 2016 ai principi del Russia’s Religions Act che prevede la parità di trattamento nella protezione dell’esercizio della libertà religiosa tra cittadini russi e non.
Cristiana Maria Pettinato
PAROLE CHIAVE
Libertà religiosa, divieto di discriminazione, attività missionaria, associazione non registrata, presunzione di pericolo di attività terroristica, approvazione statale dei contenuti del culto, metodi impropri di proselitismo